domenica 21 febbraio 2021

Concludere la crisi: come chiudere questo casino

È la sera del 2 Febbraio 2021. Il Presidente della Camera, Roberto Fico, ha appena rimesso, nelle mani di Sergio Mattarella, il mandato esplorativo affidatogli. Esito: negativo. L'ipotesi di un terzo governo Conte muore definitivamente, ed il Presidente della Repubblica è chiamato a prendere una decisione, ed a farlo in fretta. Decide che non si può, non si deve, andare ad elezioni, e prende la situazione in mano con un appello al paese ed alle forze politiche. 

"[...] Avverto il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica"

Sono parole pesate e ragionate, calibrate al millimetro e sulla cui interpretazione e messa in pratica sono state impiegate le settimane successive. Proviamo a fare un po' di analisi del testo.

C'è quella formula, "governo di alto profilo", che a voler essere maliziosi farebbe storcere il naso. Vuol dire che di solito, in Italia, abbiamo governi di basso profilo e che adesso è il momento di chiamare la gente che veramente sa il fatto suo? 
No, non era questo che voleva dire Mattarella.

Sergio Mattarella è una persona che nella propria biografia mischia due elementi antropologici fondamentali per comprendere i suoi discorsi: è un democristiano ed è palermitano. Dall'appartenenza politica viene quel parlare convoluto, attento, talvolta anche criptico e aperto all'interpretazione, come le profezie di un oracolo, mentre dall'appartenenza geografica e culturale la tendenza a parlare pochissimo, con sintesi e stile laconico, per fare in modo che siano gli altri ad intendere, senza insultare l'intelligenza di chi ascolta parlando fin troppo chiaro.

"Governo di alto profilo" significa dunque governo tecnico, ma non necessariamente. Può significare anche governo politico a guida tecnica, larghe intese politiche presiedute da una figura neutra. L'alto profilo non è, come si potrebbe intendere, un attributo qualitativo associato a chi deve far parte del governo, ma è una prospettiva: dall'alto si vede di più, si vede più lontano, e si riesce ad abbracciare più idee e forze politiche e sociali.

C'è poi quell'altra formula:  "Che non debba identificarsi con alcuna formula politica". Anche qui si sono spese molte interpretazioni. Quello che confonde è quel non debba. Una splendida ambiguità semantica permessa dalla lingua italiana, quell'espressione è contemporaneamente quello che in inglese sarebbe "doesn't have to" (non debba necessariamente) e "shouldn't" (non dovrebbe). E le forze politiche, con slancio esegetico, hanno fatto propria l'una o l'altra interpretazione a seconda della convenienza. Alcuni esponenti della maggioranza uscente si sono appellati alla prima interpretazione per cercare di non disperdere le fila di un'alleanza, quella giallo-rossa, tanto faticosamente perseguita. E dunque un governo che non debba per forza essere politico ma che potrebbe esserlo e sul quale potrebbe sopravvivere e prosperare l'alleanza di centrosinistra. Da Berlusconi e Salvini, invece, l'interpretazione opposta, quella che poi si è rivelata essere vincente. Un governo che non deve assolutamente essere politico, ed in nome di questa apoliticità è possibile immaginare tutto, persino per Salvini di entrare al governo col PD, persino per Berlusconi di mettere un sottosegretario accanto ad un ministro 5 Stelle. 

Terminata questa analisi del testo, che ci servirà come chiave per leggere gli avvenimenti delle settimane successive, è finalmente arrivato il momento di confrontarci con il convitato di pietra: Mario Draghi

Mario Draghi in un celebre momento di spavento durante una contestazione nel mezzo di una conferenza stampa della BCE

Non ci soffermeremo a raccontare la storia di Mario Draghi, perché scommetto che la sapete già tutti e tanta gente l'ha già raccontata prima e meglio di me. La perdita dei genitori all'età di 15 anni, gli anni dell'università come allievo prediletto dell'economista keynesiano Federico Caffè, poi l'insegnamento, il lavoro nelle banche private e il ruolo di governatore della Banca d'Italia, fino all'approdo ai vertici della BCE e la frase che l'ha catapultato nella storia: "Whatever it takes".

Draghi è, senza girarci troppo attorno, l'italiano più prestigioso e rispettato nel mondo. Il suo nome, nel corso degli anni, è stato ciclicamente invocato quando si era in cerca di una figura che mettesse d'accordo un po' tutti: un presidente del consiglio, un commissario europeo, un presidente della Repubblica. Draghi piace alla destra e alla sinistra, e chiunque si schieri anche solo tiepidamente nel fronte europeista non può che mostrare un sommesso senso di riconoscenza nei suoi confronti. Per questo Mattarella lo ha scelto: in una situazione dove le forze politiche hanno dimostrato la loro incapacità di produrre una sintesi quello di Mario Draghi è l'unico nome che ha qualche possibilità di mettere tutti d'accordo.

Personalmente, non ero entusiasta di sapere dell'incarico a Mario Draghi. Non per pregiudizio o mancanza di stima verso l'ex presidente della BCE, sia chiaro, ma perché il suo incarico segna la sconfitta di una politica che è stata incapace di offrire una guida stabile in un momento critico del paese. E non credo alla retorica per la quale i momenti di crisi invocano tecnici: al contrario, i momenti critici sono quelli in cui le scelte politiche riecheggiano con maggiore forza e le azioni intraprese possono avere gli effetti più forti e duraturi. Il Presidente degli Stati Uniti che ha portato gli Alleati a vincere la Seconda Guerra Mondiale era Franklin Delano Roosevelt, un Democratico convinto, non un ammiraglio dell'esercito esperto di strategie di guerra. E quando in Italia c'era da gestire la ricostruzione ed il piano Marshall, al governo c'era Alcide De Gasperi, non Enrico Mattei. Io non credo che un governo tecnico sia una necessità di per sé, credo che sia piuttosto un riconoscimento dell'attuale inadeguatezza della politica. Coltivo comunque la speranza, rassicurata dalla storia personale di Draghi, che farà bene il suo lavoro e assicurerà un futuro dignitoso al nostro paese, ma conservo l'amara consapevolezza del fatto che la politica non è riuscita ad offrire rappresentanza nel momento in cui ce n'era più bisogno.

Come se questa delusione non bastasse, mentre stavo per andare a dormire, la sera di Martedì 2 Febbraio spunta un post su Facebook di Vito Crimi, reggente del Movimento 5 Stelle: "Non voteremo la fiducia al governo Draghi". Quella notte non ho dormito.

Io nella mia cameretta alle 4 di mattina che non dormo perché ho letto che Vito Crimi non vuole votare il governo Draghi che significa che il PD va al governo con la Lega da solo che significa la fine dell'alleanza di csx che significa la destra al 999998986489% che significa che non dormo ecco in sostanza

Con il passare delle ore, però, gli animi si raffreddano. La situazione muta velocemente e trovare una coerenza in ciò che accade non risulta affatto semplice. Proviamo dunque a raccontare le giornate che hanno portato dall'appello di Mattarella alla nascita del governo Draghi concentrandoci, ad uno ad uno, sui principali attori in campo: i partiti. 

La Lega

Matteo Salvini spiazza tutti, rimescola le carte in gioco e fa saltare gli equilibri. La Lega rende noto di voler entrare a far parte della maggioranza. PD, 5 Stelle e LeU oscillano tra il panico e il disorientamento, alternando veti e fredde aperture, richiamati da un lato dal viscerale antagonismo nei confronti della Lega, dall'altro dall'appello alla responsabilità del presidente Mattarella. Nel frattempo Salvini, con un atto di trasformismo talmente spudorato da risultare volgare, si scopre europeista, orientato verso una fiscalità progressiva, perfino a favore di una modalità di gestione dei flussi migratori "sul modello tedesco o spagnolo". Addirittura Borghi e Bagnai, i teorici del No Euro della Lega, plaudono all'avvento di Draghi, con Claudio Borghi (uno che su twitter, come foto di copertina, ha la sua faccia photoshoppata sulle diecimila lire, ancora nel momento in cui sto scrivendo) che arriva a dire che "Draghi è un fuoriclasse, se gioca nella nostra squadra".

La foto di copertina su Twitter di Claudio Borghi

Ma perché Salvini è voluto entrare in un governo guidato dal più europeista degli europeisti dopo essersi schierato, per tanti anni, contro le politiche dell'UE?

A questa domanda possiamo dare due risposte, che non si escludono a vicenda: una risposta politica e una risposta strategica.

La risposta politica

La Lega è uno dei due unici veri partiti, in senso novecentesco, rimasti nel panorama politico italiano, insieme al PD. In quanto tale è animata da correnti interne, interessi divergenti, visioni anche contrapposte e un'innegabile orientamento governista. Nelle scienze politiche si evoca spesso la distinzione tra partito personale e partito personalizzato (qui un link per chi volesse approfondire). La differenza tra i due modelli partitici sta nel fatto che nel partito personale tutte le decisioni sono sotto il controllo del leader, non si muove foglia che il leader non voglia. È il caso di Italia Viva o di Forza Italia alle origini. Nel partito personalizzato, invece, un leader forte serve come scorciatoia comunicativa, un modo per portare gli elettori ad affezionarsi ed identificarsi, ma il potere decisionale non è concentrato in un uomo solo: è condiviso con altri centri di potere all'interno del partito. La cosa importante da capire qui è che la Lega non è un partito personale, ma solo un partito personalizzato. In ultima analisi, un partito nel senso originale della parola. 

Per cui, nella Lega, hanno in realtà sempre convissuto visioni, anche economiche, tra loro in contrasto. Da un lato Giancarlo Giorgetti, il numero due della Lega, portabandiera delle istanze più moderate, vicine a Forza Italia, e dall'altro l'euroscetticismo più puro di Borghi e Bagnai. Questa giravolta può essere vista, dunque, non semplicemente come volgare trasformismo (che tale comunque rimane), ma anche come l'affermazione di una visione interna sull'altra, una restaurazione, chissà se temporanea, della preponderanza dell'anima moderata della Lega su quella estremista.

Il momento del giuramento di Giancarlo Giorgetti per il governo Draghi

La risposta strategica

La risposta strategica sta invece in una legge matematico-politica che è stata molto invocata in queste settimane, e che possiamo parafrasare nel modo seguente:

"Il tasso di politicità di un governo è inversamente proporzionale all'ampiezza della propria maggioranza"

Ciò vuol dire che più una maggioranza è ampia, quindi più partiti stanno dentro, e più sarà difficile mettere d'accordo tutti, più sarà fragile l'equilibrio dei compromessi e più il governo si limiterà a pochi provvedimenti, urgenti e condivisi. Meno partiti stanno dentro, invece, e più è coesa una maggioranza, più è facile che si abbiano visioni comuni e dunque il governo può agire su più campi, anche divisivi.

Alla luce di questa legge è facile comprendere perché Salvini abbia voluto entrare in maggioranza: il suo ingresso non solo limita il raggio d'azione delle politiche del governo Draghi a provvedimenti urgenti e condivisi, ma rende l'equilibrio più precario e avvicina il più possibile una fine del governo e la conseguente chiamate alle urne. Senza Salvini questo governo avrebbe avuto la maggioranza del Conte II + Forza Italia. Non ci sarebbe stato motivo di immaginarne una fine precoce, poiché avrebbe avuto un'investitura politica salda ed importante. Con Salvini dentro, invece, questo diventa davvero un "governo di salvezza nazionale", un "governo di emergenza", un "governo tecnico", tutte formule che ne richiamano la straordinarietà e dunque la provvisorietà.

Il Movimento 5 Stelle 

Nel frattempo, il Movimento 5 Stelle consuma il proprio psicodramma. Dopo la prima dichiarazione di Vito Crimi, i pezzi grossi del Movimento tornano sui propri passi (a testimonianza dell'irrilevanza politica del reggente) ed il giorno dopo sia Luigi Di Maio che Giuseppe Conte aprono alla collaborazione con il presidente incaricato Draghi. Non tutti sono d'accordo. L'ala "ortodossa", che fa riferimento ad Alessandro Di Battista, mal digerisce la scelta del Movimento di collaborare con Draghi, e promette battaglia. È necessario l'intervento de "L'Elevato", Beppe Grillo, per cercare di compattare il partito. Beppe Grillo si sente al telefono con Draghi per due ore, e poi va due volte alle consultazioni con il presidente incaricato. A sentire Beppe Grillo, sembra che tra i due vi sia una stima reciproca, tanto che il comico genovese arriva a dire "Mario Draghi è un grillino, è uno di noi!". Il Movimento 5 Stelle avanza una serie di proposte al premier incaricato, alcune cadono nello spazio di una notte (vedi patrimoniale, sigh), complici anche i veti della Lega in merito, altre invece diventano di bandiera, per via della loro popolarità ma anche della scarsa carica polarizzatrice. In particolare, è la proposta del super ministero della transizione ecologica a diventare l'argomento principale del Movimento durante la fase delle consultazioni. Si tratta della proposta di accorpare i due ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo Economico, sul modello già seguito da altri paesi (Spagna e Francia su tutti), per portare avanti in maniera più decisa una serie di battaglie ambientaliste. Una proposta su cui nessuno, nemmeno la fronda più battagliera all'interno dei 5 Stelle, ha nulla da ridire. 

Beppe Grillo alle consultazioni con Mario Draghi. 

Ma lo scontro finale tra le anime del Movimento è ormai inevitabile. Uscito dal primo giro di consultazioni con Mario Draghi, Beppe Grillo pubblica un post su facebook, con una citazione da lui attribuita a Platone.

"Non conosco una via infallibile per il successo, ma una per l'insuccesso sicuro: voler accontentare tutti"

Beppe Grillo non è Mattarella, ma è un comico, e con le parole sa giocare anche lui. Ecco che quindi questa citazione assume una doppia valenza: da un lato sembra rivolta alla Lega, che blocca le proposte dei 5 Stelle (patrimoniale) e che i grillini non vorrebbero proprio nella compagine di governo. Dall'altra, è rivolta alla frangia riottosa dei 5 Stelle, quella del No a Draghi a prescindere da tutto. Dopo il secondo giro di consultazioni lo scontro si inasprisce. I ribelli lanciano un evento su Zoom, il V-Day 2021, richiamando gli eventi che, tanti anni fa, hanno reso celebre il movimento di Beppe Grillo. Tra i partecipanti una ventina di parlamentari grillini, alcuni vicini a Di Battista, altri cani sciolti, alcuni con un passato di uscite pessime, come Elio Lannutti, che su Facebook condivideva la bufala antisemita dei Protocolli dei Savi di Sion.

L'unico modo per sanare questa frattura è quella di sottoporre la scelta di entrare nel governo Draghi al voto sulla piattaforma Rousseau, lo strumento di democrazia interna utilizzato dagli iscritti del Movimento. Nonostante le resistenze iniziali, alla fine la fazione governista dà il via libera al voto su Rousseau. La votazione era fissata per Mercoledì 10 Gennaio ma Beppe Grillo e Davide Casaleggio, il figlio del co-fondatore del Movimento e proprietario della piattaforma Rousseau, litigano per il quesito da inserire. Davide Casaleggio ha in simpatia l'ala guerrigliera di Alessandro Di Battista, ed il quesito da lui scritto sembrerebbe esser stato scartato da Beppe Grillo, che ne scrive uno di suo pugno, dando vita ad un capolavoro della tragicommedia. 

“Sei d’accordo che il MoVimento sostenga un governo tecnico-politico: che preveda un super-Ministero della Transizione Ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal MoVimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi?” (sic)

Pur sorvolando sul grossolano errore di punteggiatura, non si può non notare come questo quesito sembri già da sé indirizzare ad una risposta positiva. Non che basti questo, sia chiaro, a decidere le sorti di una consultazione, ma è un utile indizio di quanto polarizzante si sia fatta la questione all'interno del Movimento 5 Stelle, e forse denota anche un po' l'ansia di Grillo nei confronti di questa consultazione. Il voto ha luogo nella giornata di Martedì 11 Febbraio e termina con una vittoria dei sì con il 59,3%. Subito dopo, Alessandro Di Battista annuncia il proprio addio al Movimento, terminando (parole sue) una bellissima storia d'amore durata 15 anni. E quindi lui, il più puro dei puri, una volta l'erede designato di Beppe Grillo, abbandona la casa madre, per andare chissà dove. Di Battista era ormai isolato da un po', superato dai tempi, bloccato in quella fase adolescenziale del Movimento, quella delle proteste rumorose, delle ribellioni, delle piazze e dei vaffa. Ma i tempi sono cambiati, il Movimento si è fatto forza di governo, per realizzare i propri obiettivi si è dovuto scontrare con le necessità del compromesso. Questa necessità Di Battista non è mai riuscito a farsela andar bene. 

Alessandro Di Battista con la barba da storia d'amore finita male, nel giorno dell'addio


Superato l'ultimo tornante del voto sulla piattaforma Rousseau, anche il Movimento decide, senza tentennamenti, di entrare a far parte del governo Draghi. 

Il PD e LeU

Il Partito Democratico ha interpretato, più di tutti durante questa crisi, il ruolo di partito della responsabilità, attento esecutore (e realizzatore) delle richieste del Quirinale. Per tale motivo, sin dall'inizio nessuno ha messo in dubbio la partecipazione del principale partito del centrosinistra al governo guidato da Mario Draghi. La situazione, però, ha iniziato a complicarsi quando si sono fatte concrete le possibilità che la Lega entrasse a far parte del governo Draghi. La speranza iniziale del PD era di proporre la cosiddetta Maggioranza Ursula, PD-5S-Forza Italia. La Maggiorana Ursula prende il suo nome da Ursula Von Der Leyen, la presidente della commissione europea, eletta con i voti di queste tre forze politiche. Sempre nelle speranze del PD, il governo Draghi sarebbe dovuto essere un governo politico, con giusto qualche innesto tecnico oltre a Mario Draghi, ma senza strafare. Tutte queste speranze sono però andate a farsi friggere nel momento in cui la Lega ha iniziato le operazioni per entrare nella maggioranza. Inizialmente qualcuno vociferava che il PD mettesse un veto sulla presenza della Lega nella maggioranza, minacciando di ritirarsi dal governo per evitare una coesistenza con l'avversario più ostile, ma il segretario ha continuato a fare appello alla responsabilità ed alla straordinarietà di questo esecutivo.

I problemi del PD non si fermano però a questo. Il segretario Zingaretti è sempre di più sotto attacco dalla minoranza interna, rappresentata in modo anche piuttosto coeso dai gruppi parlamentari che, come spiego nel primo capitolo di questa trilogia, sono stati selezionati da Matteo Renzi. La minoranza fa pressioni per avere, all'interno del governo Draghi, almeno un ministero di peso, minacciando velatamente guerra interna e l'accelerarsi di un processo che porterà, molto probabilmente, il segretario Zingaretti ad essere sfidato dal governatore dell'Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, per il ruolo di leader del Partito Democratico. Ancora una volta il convitato di pietra delle primarie PD sarà Matteo Renzi.

Bonaccini e Zingaretti, potrebbero sfidarsi per la guida del PD nel prossimo congresso

Dalle parti di Liberi e Uguali, il partito-federazione che riunisce le forze politiche a sinistra del PD, non si dormono sonni tranquilli. Dubbiosi sin dall'inizio, quelli di LeU hanno provato a mettere un veto alla Lega, ma è presto caduto, vuoi per l'appello alla responsabilità del presidente Mattarella, vuoi per il troppo piccolo peso parlamentare del gruppo, vuoi ancora per la necessità di assicurare una continuità nell'unico ministero espresso dalla formazione, quello della Sanità, diretto da Roberto Speranza, una casella fin troppo centrale per lasciarla a qualcun altro. Ciononostante, la natura di LeU, che è una federazione di partiti, non un partito, conduce inevitabilmente alla frammentazione. La componente più lontana dal PD, Sinistra Italiana, decide in assemblea di votare contro il governo Draghi, mentre la componente degli ex democratici (Speranza e Bersani) vota compatta a favore di Draghi.

La chiusa della crisi

Dopo giorni di trattative, ipotesi e valutazioni, Mario Draghi presenta finalmente la sua squadra di governo. Si tratta di un mix di tecnici e politici, con i primi in minoranza numerica ma con il controllo di quasi tutti i ministeri più importanti (Interni-Lamorgese, Giustizia-Cartabia, Economia-Franco). Per quanto riguarda la componente politica, ci sono rigurgiti da tutte le parti. I 5 Stelle (4 ministeri di cui solo uno di peso: gli Esteri a Luigi Di Maio) si sentono sottorappresentati rispetto al peso parlamentare. Il PD è logorato dalle faide interne e dalle questioni riguardanti la mancata rappresentanza femminile tra i titolari dei ministeri. Anche Forza Italia, più silenziosamente, si trova ad affrontare beghe interne, dopo che la componente moderata di Brunetta, Gelmini e Carfagna si è trovata rappresentata in toto, mentre quella più vicina alla Lega, rappresentata da Anna Maria Bernini e Antonio Tajani si è trovata con un pugno di mosche. Il governo giura il giorno dopo la presentazione della lista dei ministri e dopo cinque giorni riceve la fiducia del Senato e della Camera. 

Nel discorso presentato alle camere, Mario Draghi espone il suo programma, i cui pilastri erano già noti da tempo. Il Recovery, l'ambiente, il piano vaccinale, i giovani e la scuola, la parità di genere. Durante il discorso nomina anche Giuseppe Conte, tributandolo. In aula, dai banchi dell'ex maggioranza, parte un lungo applauso. È l'atto finale, pacifico e conciliatorio, della crisi di governo ormai, finalmente, alle nostre spalle. Partono i titoli di coda. 

Questa crisi si è andata trascinando per mesi, prima come ipotesi, poi concretamente. Seguirla, capirla, interpretarla, non è stato semplice. Ci ho voluto provare, dedicando alla crisi questa trilogia che adesso si conclude. Ho cercato di raccontarla con il mio stile, di renderla accessibile e semplice per tutti, anche per chi non si dovesse interessare troppo delle beghe interne di partiti e parlamentari. Ho cercato di tirarne fuori una storia, con i suoi personaggi, la sua trama, le sue trame, le sue regole. Ho tentato di appassionare. Spero di esserci riuscito. Qualunque sia la vostra opinione in merito, vi invito a condividerla con me. Scriverò ancora. Non so dire quando: dovrò attendere di trovare una storia che valga la pena raccontare. Non so di cosa esattamente, ma penso di poter dire con un certo grado di sicurezza che c'entrerà con la politica. Fino a quel momento, comunque, vi saluto calorosamente. E vi ringrazio. 

Un abbraccio.

- Gaetano Scaduto.


https://quifinanza.it/editoriali/video/cosa-significa-governo-di-alto-profilo-draghi-mattarella/458266/

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-crisi-tavolo-sul-programma-ultime-ore-prima-di-salire-al-colle

https://www.ilmessaggero.it/politica/governo_conte_renzi_draghi_governissimo_ultime_notizie_2_maggio_2020-5204002.html

https://www.rivisteweb.it/doi/10.1415/83199

https://www.youtrend.it/2013/01/29/personalizzazione-e-partiti-personali-sono-la-stessa-cosa/

https://www.ilpost.it/2021/02/03/chi-e-mario-draghi/

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/02/02/lappello-di-mattarella.-il-testo-integrale-del-discorso-_e3bd6b82-c410-4d5a-a2d3-db9a72cf1b25.html

https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/grillo-credevo-draghi-banchiere-dio-ma-e-grillino/ADTpw2IB

https://www.ilblogdellestelle.it/2021/02/un-super-ministero-per-la-transizione-ecologica.html

https://www.huffingtonpost.it/entry/grillo-la-via-per-linsuccesso-sicuro-e-voler-accontentare-tutti_it_601ea54cc5b6c56a89a15882

https://www.corriere.it/politica/19_gennaio_22/elio-lannutti-post-savi-sion-scuse-david-puente-1687a5ae-1e41-11e9-b085-7654f7acb9a3.shtml

https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2021/02/10/news/lite_grillo_casaleggio_rousseau_governo_draghi-287006886/

https://www.ilmessaggero.it/AMP/video/di_battista_col_m5s_stata_bellissima_storia_d_amore-5762168.html

Si ringrazia Leonardo per la revisione.

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